Boccaccio sembra attingere alla memoria dei giardini siciliani quando nell’introduzione alla terza giornata del Decamerone descrive un luogo immaginario di delizie dove l’architettura dei palazzi, viali, canali d’acqua e fontane è immersa nel verde di prati, di piante fruttifere e da fiore, dove non manca la fauna indigena ed esotica. Quel giardino, inoltre, è chiamato paradiso, in una similitudine certamente derivata dall’idea del paradiso coranico.
Da questa suggestione il progetto si sviluppa attraverso alcuni concetti essenziali:
– la valorizzazione dell’ex tracciato ferroviario consente una chiara definizione della porzione di territorio da riqualificare. La via Ferrata viene assunta come limite del Parco e diviene elemento strutturante per la messa a fuoco di un disegno della mobilità sostenibile, per la definizione delle modalità insediative delle nuove strutture oltreché per la gestione del dualismo tra spazi pubblici e aree private.
-la messa a sistema dei vari frammenti esistenti mira a stabilirne una sequenza urbana coerente capace di guidare il visitatore nella salita dal Parco verso il complesso monumentale del Duomo. L’eterogeneità dell’esistente diviene occasione per la traduzione della naturale e consolidata vocazione di questo paesaggio in tema progettuale e visione metaforica.
-la riscoperta della dimensione residuale dell’agrumeto esistente e la sua rigenerazione ai fini dell’accessibilità, della fruizione e dell’informazione. Il paesaggio ritrovato diviene un vero e proprio unicum pubblico.